lunedì 1 agosto 2011

Vinicio Capossela

Vinicio Capossela
Marinai, Profeti e Balene


Smisurata, quasi insondabile: un’opera definitiva e ambiziosa che solo un talento rinomato e letterato come Vinicio Capossela avrebbe potuto proporre al grande pubblico (di questo paese, di questo tempo), senza ricevere in cambio sbadigli disinteressati o sonore pernacchie. Un epico - è il caso di dirlo – viaggio della conoscenza, attraverso la Bibbia, le metafore diMelville in Moby Dick, Omero e la sua Odissea. Miti e mitologie, dei e deità, favole e parabole, uomini e umanità: un cammino solitario attraverso la letteratura, per la letteratura, in cui perdersi è la maniera più veloce di ritrovarsi, alla fine, e ivi riconoscersi.

Un percorso artistico di molti alti e pochissimi bassi, quello che ha condotto Capossela a questo passo importante della sua carriera: dagli esordi da menestrello sbilenco al romantico tzigano, dalle tambureggianti tarante alle esplosioni circensi, sino al recente passato (il capolavoro Ovunque Proteggi, l’intimo, e riuscito a metà, Da Solo, datato 2008).

Marinai, Profeti e Balene è un doppio album monumentale: basti citare i numeri e i nomi. Diciannove canzoni per un’ora e mezzo di durata, una quantità spropositata di ospiti (dai Calexico a Marc Ribot, dal cretese Psarantonis ai cori degli Apocrifi, delle voci bianche, delle donne sarde, delle Sorelle Marinetti , dai musicisti originali degli esordi ai nuovi musicisti classici, tutti solisti alla Scala… per citarne solo alcuni) e una quantità ancor più smodata di strumenti (oltre ai moderni e ai classici, anche strumenti antichi, dalla lira alle ondioline alla viola d’amore). E poi un pugno di testi dagli altissimi registri, intrisi di poesia greca e di fervore religioso, di epiche morali e colte dottrine. Insomma, detto tra noi, sulla carta ce ne sarebbe abbastanza per scappare a gambe levate. Il risultato, invece, è ben diverso: l’album è imponente ma non ampolloso, è enfatico ma non retorico. Un ascolto impegnato, ma tutt’altro che impegnativo.

Idealmente, non solo fisicamente, il progetto è diviso in due parti: il primo disco, più epico, operistico, biblico, ha in Moby Dick il tema portante, e molte delle sue basi sono state registrate da un pianoforte a coda issato nella sacrestia della cattedrale del castello di Ischia. Diversi brani del secondo disco, per certi versi più intimo, ispirato all’Odissea, sono stati incisi invece a Creta (“le canzoni per le quali serviva la presenza degli dei”, ha ammesso lo stesso Capossela in un’intervista). Essendo lavoro immane, e anche presuntuoso, cercherò di non sviscerare per filo e per segno le tematiche dei singoli brani, lasciando che l’ascoltatore ritrovi nel piacere stesso del viaggio la propria individuale interpretazione. Anche perché il Nostro ha sentenziato che nel disco “la forma canzone è un pretesto, viene rispettata il meno possibile”.

Sommariamente, comunque, Marinai, Profeti e Balene è questo: nella prima parte l’apertura è affidata a Il Grande Leviatano, direttamente dalla pancia della balena, inno sacro con tanto di cori e organo, seguita daL’Oceano Oilalà, ebbra ode flautata che ricorda il De Andrè dei lavori medievali. Pryntil è disneyana sigletta anni ’30, Polpo d’Amor (musicata daiCalexico) tango elegante e sinuoso, Lord Jim danza morbida e solitaria sul tema dell’espiazione. I brani del primo cd sono come pervasi da un’ovatta sensoriale acquatica, più una percezione che un suono vero e proprio, che persevera in La Bianchezza Della Balena, uno dei pezzi più pregiati del lotto, accompagnata non a caso dal coro delle voci bianche “Mitici Angioletti” e sferzata dall’elettrica di Alessandro ‘Asso’ Stefana. Billy Budd è un blues strascicato impreziosito dalla chitarra di Marc Ribot, I Fuochi Fatui è pura teatralità, diseguale, visionaria. Job, parabolico levare alla Nick Cave, precede la conclusiva La Lancia del Pelide, sferrata dolcemente, trait d’union che conduce salvifica alla seconda parte, al secondo disco.

Ci aspetta sull’altra sponda Goliath, circolare nel significato, sbilenca e sbuffante nell’accompagnamento, che si fa tetro e a tratti tellurico quando incontriamo il Ciclope ubriaco di Vinocolo. Intima e straziante è l’attesa di Penelope ne Le Pleiadi, mentre altrove un Aedo cantastorie ci introduce a tre momenti piuttosto deboli: il valzerino de La Madonna delle Conchiglie, Calipso, esotica e assolata, Dimmi Tiresia, classicamente caposseliana.
Moltissima carne al fuoco, dunque, accompagnata da contorni di ogni genere e bagnata abbondantemente dal vino torbido e liquoroso dei nostri bisnonni. Una di quelle rare sbornie che ti addormentano senza avvisarti, e più tardi, nei sogni, ti fanno vedere chi sei.

http://www.storiadellamusica.it/Vinicio_Capossela_-_Marinai,_Profeti_e_Balene_(La_Cupa,_2011).p0-r3982

Vinicio Capossela